Ricerca sul campo
Valle del Belice
22 - 26 marzo 2014
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La linea della palma
Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un violento terremoto devasta la Sicilia Occidentale lungo la Valle del fiume Belice, un’ area compresa tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Queste scosse di potenza devastante provocano la distruzione pressoché totale dei paesi di Poggioreale, Montevago, Santa Margherita Belice, Santa Ninfa, Gibellina, Salaparuta e Partanna. Le vittime sono 296, i feriti circa un migliaio, oltre 98mila persone rimangono senza casa.
Da quel momento, il terremoto diventa l’unico e totalizzante filtro della visione di un territorio poco conosciuto. Definisce il tempo e lo spazio, il prima e il dopo, crea memoria e ne determina l’immaginazione: costruisce rovine e nuova edificazione. Tanto i paesi distrutti quanto quelli ricostruiti diventano elementi esclusivi per leggere questo territorio. Se le rovine sono il simbolo di quello che c’era e ormai non c’è più, le ricostruzioni sono indice di un fallimento permanente e inevitabile.
È possibile continuare a leggere la Valle del Belice, la sua vita quotidiana, la sua arretrata modernizzazione, la bellezza di questo paesaggio attraverso la sola temporalità del terremoto? È possibile limitarsi a intricate letture giuridiche in una comunità contigua con il locale potere mafioso?
La storia della Valle del Belice segnata dal terremoto è emblematica. È lo specchio di un tempo. Scriveva W. H. Auden: leggere un libro è come guardarsi allo specchio. Un asino vedrà sempre un asino. In questo specchio di territorio si riflettono molteplici questioni aperte della cultura europea e, in particolare, di quella italiana: l’urbanistica, l’architettura, il ruolo dei cittadini o delle popolazioni locali; la contrapposizione tra Stato centrale e autogoverno del territorio; le dinamiche legate ai centri di potere decisionale e al sistema economico del profitto. Il rapporto con la memoria (e con le rovine), il sistema dei valori condivisi e non: l’idea di una società.

“Le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico «le causali, la causale» gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia”.
Il groviglio di cause e concause, a cui lo scrittore italiano Carlo Emilio Gadda dedica pagine splendide, non è facile da districare; ci porta a ritroso all’infinito, aprendo parentesi su parentesi che non si chiudono mai.
Anche una mappa è un intricato groviglio di segni convenzionali e visivi che raccoglie numerosi livelli d’informazione, quasi fosse la stratificazione delle conoscenze contemporanee. La domanda su cosa sia informazione e cosa sia conoscenza attira, da molti anni, gli studiosi di varie discipline: l’eccesso d’informazione è una delle questioni aperte del contemporaneo. Cosa vuol dire leggere un territorio? Quali strumenti sono necessari? Quali conoscenze? È possibile semplificare una mappa? A quali risultati può portare questo esercizio?
A partire da queste domande, la ricerca sul campo nella Valle del Belice propone di scavalcare un approccio puramente descrittivo del fatto storico attraverso la messa a punto di uno strumento capace di orientare l’esperienza del luogo e dei suoi abitanti.


La ricerca avviata con La linea della palma è diventata un libro: vai alla pagina

 

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